Il suolo*
L’Articolo 9 della Costituzione della Repubblica Italiana recita “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”
Nel settembre 2015, 193 membri dell’Onu, rappresentanti di altrettanti Paesi, sottoscrivono l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.
Le basi sono tratte dai Millennium development goals, otto capisaldi da rispettare per costruire un futuro equo e sostenibile tra cui: ridurre la mortalità e la denutrizione infantile, garantire a tutti l’accesso all’istruzione primaria, garantire l’uguaglianza di genere, combattere Hiv-Aids, creare un partenariato mondiale per lo sviluppo e garantire la sostenibilità ambientale.
Quest’ultimo punto ispirerà l’obiettivo undici dell’Agenda 2030 “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili”.
Le città generano un introito economico pari all’80% del totale e si stima che entro il 2050, il 66% della popolazione vivrà in contesti urbani.
Sulla base di tali previsioni, risulta difficile immaginare lo sviluppo delle città avulso da una visione sostenibile che garantisca, così come scritto chiaramente nel Rapporto Brundtland, la disponibilità delle risorse alle generazioni presenti senza inficiare quelle future. Il primo passo verso la progettazione responsabile è la conoscenza approfondita dei fenomeni che interessano il territorio urbano,
motivo per il quale è fondamentale lo studio della permeabilità e impermeabilità del suolo, di come queste si distribuiscono, come si sviluppano e come mutano nel corso degli anni.
Per dare una definizione di suolo esaustiva e scientificamente accettata e condivisa, possiamo attingere da quella elaborata durante i lavori della “Strategia europea tematica per la protezione del suolo”, del 2006. “Il suolo è lo strato superiore della crosta terrestre costituto da componenti minerali, organici, acqua, aria ed organismi viventi. Rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua ed ospita gran parte della biosfera. Visti i tempi estremamente lunghi di formazione del suolo, si può ritenere che sia una risorsa sostanzialmente non rinnovabile. Il suolo ci fornisce cibo, biomassa e materie prime; funge da piattaforma per lo svolgimento delle attività umane; è un elemento del paesaggio e del patrimonio culturale e svolge un ruolo fondamentale come habitat e pool genico […]. Per l’importanza che rivestono sotto il profilo socioeconomico e ambientale, tutte queste funzioni devono pertanto essere tutelate”.
All’interno del suolo vengono stoccate, filtrate e trasformate molte sostanze tra cui acqua, nutrienti e carbonio, di cui il suolo è il principale deposito del pianeta. Le funzioni pedologiche dipendono dalla struttura, di conseguenza eventuali danni alla stessa hanno ripercussioni negative su altri elementi ambientali ed ecosistemici. Un suolo di buona qualità fornisce numerosi benefici ecologici, economici e sociali, attraverso la fornitura di servizi ecosistemici di diversa natura, tra i quali approvvigionamento (prodotti alimentari, materie prime), regolazione e mantenimento (regolazione climatica, cattura e stoccaggio di carbonio, controllo dell’erosione, regolazione della qualità delle acque, etc.) e servizi culturali (ricreativi, culturali, paesaggistici, naturalistici, etc.). Per l’importanza che il suolo e le funzioni da esso svolte rivestono sia a livello socioeconomico che ambientale, è necessaria un’azione di tutela dalle minacce. (Dati: Roma Capitale Dipartimento Trasformazione Digitale UO Statistica / Open Data; ISPRA Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)
(Rapporto Ispra: in Italia perso il 7,3% del territorio, in tre anni divorata un’area di 720 kmq)
In Italia, anche nel 2012, il consumo di suolo continua a “galoppare” al punto che il nostro paese ha perso, negli ultimi tre anni, altri 720 km quadrati, un’area grande quanto i comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo messi insieme. A lanciare l’allarme è il nuovo rapporto sul consumo di suolo dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), da cui emerge che il 7,3 per cento del nostro territorio è “ormai perso irreversibilmente”. Lo studio evidenzia che “si è passati da poco più di 21.000 kmq “divorati“ nel 2009 a quasi 22.000 nel 2012. La velocità “mangia“ suolo italiana non rallenta e continua a procedere al ritmo di 8 metri quadrati al secondo.
L’istituto di ricerca punta il dito anche contro i “forti impatti sui cambiamenti climatici: la cementificazione galoppante ha comportato dal 2009 al 2012 l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2 per un costo complessivo stimato intorno ai 130 milioni di euro”.
Gli effetti di questa trasformazione si ripercuotono anche “sull’acqua e sulla capacità di produzione agricola”. Tra il 2009 e il 2012 a causa dell’impermeabilizzazione abbiamo perso “una capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendo infiltrarsi nel terreno, deve essere gestita.
In questo contesto, le VePa, hanno la funzione di recuperare parte di questa cementificazione inutilizzata rendendola utile e legittimandola proprio attraverso un’utilità abitativa.
Proteggere e salvaguardare il nostro pianeta per la sopravvivenza degli esseri umani e animali e di tutti gli organismi viventi, impone nuove riflessioni e urgenti azioni.
Tra le priorità, ridurre il consumo del territorio è una delle più importanti. Questo è il momento di cambiare il volto dell’edilizia italiana dove il 98% degli oltre trenta milioni di balconi stimati, sono totalmente inutilizzati.
Una percentuale imponente di quel “parco edile” cementificato che negli ultimi decenni ha consumato o, meglio, “divorato” buona parte del nostro territorio. Non solo un enorme spreco di spazio ma anche un ingente spreco di energia e di risorse naturali, ambientali ed economiche.
E’ stato calcolato, ad esempio, che la dispersione termica di una parete con balcone su un edificio (insieme porte e finestre tradizionali) fa perdere inesorabilmente il 30% circa del fabbisogno di un appartamento, in termini di energia termica e di denaro, oltre ad accrescere l’inquinamento atmosferico.
Percentuale che, moltiplicata per milioni di balconi, si esprime con cifre da capogiro.
“È tempo di smettere di far finta di niente e di pensare il suolo come una merce, inseguendo egoismi amministrativi ammantati di parole enigmatiche e doppie.” (Paolo Pileri)
E’ stato evidenziato dagli studi Istat su “Forme, livelli e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia” che il nostro è il Paese più urbanizzato d’Europa e uno tra i maggiori al mondo. Significa che è la nazione che ha consumato più territorio: un’incidenza del 7% contro una media UE del 4,1%. Dal 2011 al 2014 sono stati costruiti oltre 540.000 nuovi fabbricati, quasi tutti per utilizzo residenziale.
Anche i dati pubblicati dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – vigilata del Ministro dell’Ambiente) sul “Consumo di suolo in Italia 2020”, sono a dir poco impressionanti. “Il consumo di suolo in Italia continua a trasformare il nostro territorio con velocità elevate. Nell’ultimo anno, le superfici delle nuove costruzioni hanno riguardato altri 57,5 kmq , ovvero, in media, circa 16 ettari al giorno. Un incremento che non mostra segnali di rallentamento e che, in linea con quelli rilevati nel recente passato, fa perdere al nostro Paese quasi due metri quadrati di suolo ogni secondo. La velocità del consumo di suolo è ancora molto lontana dagli obiettivi europei, che prevedono l’azzeramento del consumo di suolo netto, ovvero il bilancio tra il consumo di suolo e l’aumento di superfici naturali attraverso interventi di riqualificazio
ne del territorio. Considerando il calo delle nascite, è come se avessimo costruito 135 mq per ogni nato nel 2019.
A proposito di “consumo di territorio” ho citato sopra una frase da un testo interessante: “100 Parole per salvare il suolo” di Paolo Pileri, Docente di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, (tiene corsi sia alla Scuola di Architettura sia a quella di Ingegneria del Politecnico di Milano). L’inclusione del tema del suolo e delle questioni ambientali, ecologiche e paesaggistiche nella pianificazione territoriale e urbanistica è da sempre il suo àmbito di ricerca ed è autore di oltre 200 tra articoli e libri sulla pianificazione urbanistica e ambientale e la mobilità sostenibile.
Nell’introduzione a questo libro, lo storico dell’arte Tomaso Montanari scrive: L’urbanistica è una lingua straniera: 100 parole “tradotte” in italiano per imparare a leggere le trasformazioni del suolo contenute nelle leggi e nei piani.
E dire “sì” alla tutela del suolo e al riutilizzo di quel che già esiste.
Cementificazione e spreco di risorse
L’Italia è il paese degli sprechi. È risaputo. Oltre a quelli della politica e a quegli della pessima gestione del territorio da parte delle amministrazioni regionali, vi sono altri tipi di sprechi. Tra questi ve n’è uno così grande e sotto gli occhi di tutti, eppure totalmente invisibile e del quale, perciò, nessuno si accorge. Basti alzare gli occhi, camminando o guidando nei centri abitati, per vederlo.
In Italia infatti sono presenti 13 milioni di edifici di cui 32 milioni le unità abitative, la maggior parte delle quali possiedono uno o più balconi, per un totale approssimativo di circa 30 milioni di balconi (fonti ISTAT).
Balconi inutilizzati
Sono i balconi dei palazzi e delle case. Centinaia di migliaia, milioni di metri quadri di spazi abitativi, totalmente inutilizzati nella maggior parte dei casi. Uno spreco che grava sulle tasche dei cittadini perché, se i balconi non vengono utilizzati e rimangono abbandonati, sono soggetti ad usura e degrado e necessitano di costante manutenzione. Uno tra i tanti sprechi made in Italy causato da una pessima gestione politica del territorio, dalla mancanza di strumenti urbanistici adeguati e da un Parlamento immobile che dovrebbe introdurre norme per limitare il consumo di suolo italico ma sopratutto promulgare strumenti che incentivino la riqualificazione del “parco immobiliare” nazionale esistente di cui una parte – i balconi, appunto – non utilizzata.
I balconi – solitamente non utilizzati – rappresentano circa il 7% del totale della cubatura (vale a dire il volume cementizio che attualmente insiste al suolo e che ha consumato il nostro territorio).
Rendere un balcone vivibile per incentivare l’utilizzo di nuovi spazi all’interno della stessa abitazione farebbe diminuire la domanda di nuove case e ridurre il consumo di suolo e l’occupazione di spazio nel territorio.
Per esempio, una famiglia con due figli che abitasse in un appartamento con una camera da letto matrimoniale e una doppia, alla nascita del terzo figlio dovrebbe cercare un altro appartamento con una terza camera da letto, anche perché poi i figli crescono e le esigenze degli adolescenti cambiano. Se tale appartamento avesse un grande balcone – magari inutilizzato perché non protetto – dove trasferire la stanza da pranzo (ma non la cucina con relativi impianti) creando così un living, questa famiglia potrebbe usufruire di maggiore spazio abitativo interno dove ricavare la terza stanza da letto e non dover trovare un appartamento più grande, o perlomeno senza urgenza.
Vito A. Chirenti